La riunione del gabinetto di sicurezza di Israele si è trasformata nel teatro del più grande scontro tra il ministro della Difesa Yoav Gallant e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dall’inizio del conflitto in Medio Oriente. I due esponenti del governo dello Stato ebraico si sarebbero scontrati su uno dei punti focali degli accordi col cessate il fuoco, ovvero il futuro del corridoio Filadelfia. Una striscia di terra che collega la Striscia di Gaza con l’Egitto, a cui Netanyahu non vorrebbe rinunciare, poiché timoroso che l’organizzazione terroristica islamica la utilizzi per rafforzarsi e per ottenere nuove armi.
Senza il ritiro delle truppe israeliane da questo territorio, però, Hamas non è disposto ad accettare gli accordi di pace. Qui, per ora, si discute il futuro della guerra. Yoav Gallant sarebbe pronto a rinunciare al territorio, pur di porre fine alle ostilità, ma il suo solo voto non è abbastanza per convincere il primo ministro. Quest’ultimo, infatti, avrebbe proposto il quesito al gabinetto di sicurezza e nove membri su dieci avrebbero votato contro la liberazione del territorio.
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Yoav Gallant, quindi, in preda alla furia, avrebbe dichiarato: “Il primo ministro può prendere tutte le decisioni e può anche decidere di uccidere tutti gli ostaggi“. Un attacco duro che potrebbe presagire una crisi nel governo israeliano, visto anche il probabile fallimento degli accordi. Secondo una fonte anonima di alto livello dei miliziani palestinesi, infatti, i negoziati stanno “andando verso il collasso” proprio a causa per l’insistenza dello Stato ebraico sul mantenimento del controllo sul corridoio di Filadelfia.
Medio Oriente: la speranza riposta nella tregua umanitaria
Secondo i mediatori di ritorno dal Qatar i negoziati sarebbero giunti ad un punto morto. Israele non sarebbe intenzionata a rinuncia al corridoio di Netzarim, oltre a quello Filadelfia, né al valico di Rafah. Uno dei punti cruciali dell’accordo per il cessate il fuoco, però, prevede il ritiro completo delle truppe dell’Idf dal territorio palestinese, compresi questi territori. Hamas non ha intenzione di cedere alle richieste dello Stato ebraico, per cui la guerra continua ad imperversare sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania.
La speranza, ora, sarebbe riposta nella tregua umanitaria della durata di tre giorni, che avrà inizio dal primo settembre. Una pausa nel terribile conflitto, necessaria a permettere la vaccinazione di massa contro la poliomielite. La malattia, infatti, imperversa nella Striscia di Gaza e i bambini lì presenti sono ad alto rischio. Dopo l’allarme dell’Onu, è stato possibile trovare un accordo per permettere le vaccinazioni ed ora l’Oms è pronta a somministrare 1,2 milioni di dosi.
Intanto, però, il conflitto continua a devastare la Striscia. L’Idf ha dichiarato di aver completato l’operazione nell’area di Khan Yunis e Deir al Balah, a sud della Striscia, dove in circa un mese “oltre 250 terroristi sono stati eliminati e distrutte decine di infrastrutture terroristiche“. L’Ong americana Anera ha però denunciato che un raid israeliano avrebbe colpito un suo convoglio di aiuti, uccidendo quattro persone. Sembrerebbe che il percorso dei mezzi, però, fosse stato stabilito proprio insieme all’Idf.
Le offensive in Cisgiordania
La guerra prosegue anche in Cisgiordania, con l’Idf che continua a colpire obiettivi nel tentativo di uccidere terroristi e miliziani jihadisti. Nella giornata di ieri è stato ucciso un capo di Hamas, Wassem Hazem, a Jenin e in totale dallo scoppio del conflitto nella regione sono morte 20 persone. L’allargamento del conflitto desta preoccupazione in Occidente, come dimostrano le parole del segretario dell’Onu Antonio GUterres, che ha invitato Israele a porre fine alle offensive il prima possibile.
Il governo britannico ha dichiarato di essere “profondamente preoccupato” per i metodi usati da Israele in Cisgiordania ed ha rinnovato la richiesta di “dar prova di moderazione, di aderire al diritto internazionale e di reprimere le azioni di coloro che cercano di infiammare le tensioni“, per poi condannare “la violenza dei coloni“. Anche la Spagna ha chiesto di fermare le “gravi” operazioni nella regione, affinché il diritto internazionale venga rispettato.
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