L’Iran esplode ancora, in quattro mesi 500 morti: lo studio

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Secondo la relazione depositata nella terza commissione permanente del Senato le manifestazioni pacifiche hanno interessato in tutto il Paese oltre 150 città e 140 università. L’ondata di repressione non accenna a fermarsi 

È dal 13 settembre 2022, con la morte della giovane di Mahsa Jina Amini, che in Iran si è originata un’enorme ondata di manifestazioni pacifiche. La protesta ha interessato oltre 150 città e 140 università – a partire dalla prestigiosa Università di tecnologia Sharif di Teheran – in tutte le 31 province del Paese.

Ma a quale prezzo i cittadini iraniani stanno pagando il loro diritto di manifestare per vedere affermate le proprie libertà?

Le stime dell’IHRNGO, dell’HRW e dell’UNICEF

Secondo stime attendibili fornite dall’organizzazione non governativa Iran Human Rights (IHRNGO) dall’inizio delle manifestazioni alla data del 17 dicembre scorso, almeno 469 persone, tra cui 63 bambini e 32 donne, sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza.

La stessa UNICEF, nel condannare le numerose violenze perpetrate nei confronti dei bambini, ha chiesto di porre fine a ogni forma di abuso in Iran, confermando le notizie secondo cui nei disordini di questi mesi sarebbero stati uccisi oltre 50 bambini. Anche l’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch (HRW) ha a sua volta documentato l’utilizzo eccessivo e illegale della forza da parte delle autorità iraniane contro i manifestanti in dozzine di casi in diverse città del Paese.

Le giovani vite stroncate di Mahak Hashemin, Asra Panahi e Hadis Najafi

A cadere vittime delle azioni repressive sarebbero state inoltre altre giovani innocenti, donne colpevoli unicamente di aver dato voce a un disagio e a un afflato di libertà.

Mahak Hashemin è stata uccisa a soli 16 anni a manganellate dalle forze di sicurezza a Shiraz, nella regione centro meridionale dell’Iran, per aver indossato un berretto da baseball al posto del tradizionale velo.

Anche Asra Panahi, morta a 16 anni ad Ardabil, nell’estremo nord del Paese, è stata pestata da parte delle forze di sicurezza per essersi rifiutata di cantare un inno dedicato alla guida suprema.

Infine, Hadis Najafi, la ragazza che legandosi i capelli era divenuta ella stessa simbolo della protesta, è stata uccisa nel corso di una manifestazione nella città di Karaj, a nord ovest di Teheran.

Gli arresti da parte della polizia morale durante le manifestazioni pacifiche

L’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, nel chiedere al Consiglio per i diritti umani della massima assise internazionale, di aprire un’indagine indipendente sulle violenze mortali perpetrate in questi mesi nei confronti dei manifestanti in Iran, ha parlato di circa 14.000 persone, compresi i bambini, arrestate nel contesto delle proteste. 

Secondo i dati forniti dalla stessa magistratura iraniana dall’inizio delle manifestazioni di protesta, più di 2.000 persone sono state incriminate dalle autorità giudiziarie locali, la metà delle quali nella sola città di Teheran. Alcune di loro sono state già condannate a morte, accusate di aver provocato disordini o causato danni a persone e beni pubblici.

La violenza della polizia

Le forze di sicurezza, il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche e le forze dei Basij, il reparto delle forze dell’ordine della Repubblica islamica dell’Iran, la polizia antisommossa e gli agenti di sicurezza in borghese durante le proteste avrebbero fatto ampio uso di proiettili, di gas lacrimogeni e di manganelli per reprimere le manifestazioni di protesta.

Amnesty International riferisce di aver raccolto prove che dimostrano come il comando generale delle forze armate abbia ordinato ai comandanti di tutte le province di affrontare i manifestanti pacifici ricorrendo all’uso generalizzato delle armi da fuoco.

Alcune organizzazioni per i diritti umani, fra cui il Center for Human Rights in Iran, accusano apertamente la magistratura iraniana di aver celebrato processi farsa a carico dei manifestanti arrestati, con successive sentenze capitali ai loro danni senza il rispetto delle necessarie garanzie legali e procedurali.

Fonti giornalistiche locali riportano la notizia relativa alla esecuzione delle prime due condanne a morte ai danni di due ventitreenni arrestati nel corso delle manifestazioni di questi ultimi mesi, rispettivamente Moshen Shekari e Majidreza Rahnavard, avvenute l’8 e il 12 dicembre scorsi.

Le norme del Codice penale islamico

In Iran, ai sensi di alcune norme esplicative del Codice penale islamico, le donne che vengono viste in pubblico senza il velo sono passibili di pene detentive da dieci giorni a due mesi o a una multa in denaro. Le disposizioni si applicano anche a bambine di nove anni, ovvero al raggiungimento dell’età minima per la loro imputabilità penale.

Simili disposizioni normative e prassi applicative autorizzano la polizia e le forze paramilitari iraniane ad arrestare e imprigionare decine di migliaia di donne ogni anno per aver mostrato ciocche di capelli sotto il velo o per aver indossato soprabiti, pantaloni o abiti a maniche corte.

Oltre ad aver fortemente ostacolato il diritto dei cittadini iraniani di riunirsi e di manifestare liberamente, le autorità iraniane avrebbero deciso di minare gravemente anche il loro diritto alla libertà di espressione, limitando drasticamente l’accesso a Internet e bloccando le piattaforme per la messaggistica istantanea in tutto il Paese.

Gli obiettivi delle proteste

Le proteste, promosse spontaneamente dalle donne della società civile iraniana, nascono inizialmente con l’obiettivo di chiedere alle autorità iraniane un’assunzione di responsabilità per la morte di Mahsa Jina Amini e la fine delle violenze e delle discriminazioni nei confronti delle donne in tutto il Paese, con particolare riferimento all’obbligo del velo.

Con il passare dei giorni, e con l’aumento della portata delle proteste, le manifestazioni hanno assunto una dimensione di massa, e mirano al cambiamento dell’attuale sistema teocratico.

Alla base delle proteste vi è la richiesta di riconoscere i diritti individuali e sociali sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonché di superare il sistema normativo attuale che ha di fatto istituzionalizzato la discriminazione sessuale e la repressione delle donne, con la conseguente compressione di tutti i loro fondamentali diritti civili.

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