A un mese dell’avvio della guerra l’economia di Putin è stata rallentata ma non a tal punto da impensierire il sistema russo: boom per le esportazioni energetiche
Le sanzioni alla Russia finora non hanno dato l’effetto che l’Europa si aspettava. A un mese dal 24 febbraio 2022, giorno in cui i carri armati di Putin si sono messi in moto, ecco che le analisi economiche riportano una realtà diversa da quella che politici e burocrati europei si aspettavano di trovare.
La situazione attuale
Non appena formalizzato il primo pacchetto di sanzioni da parte dell’Europa, ecco che Mosca ha accusato il colpo: in particolare per la chiusura della Borsa per un mese, con il conseguente crollo del rublo e lo spettro di una caduta dell’8% del Pil, con una inflazione al 20%. Il quadro poi, settimana dopo settimana, è andato però cambiando: e Mosca ha iniziato una lenta ma costante ripresa dei fattori economici.
Nella capitale la vita dei russi nelle grandi città sembra immutata rispetto agli standard: locali e ristoranti frequentati nei fine settimana, piste di pattinaggio affollate, supermercati ben forniti, negozi di grandi marchi stranieri ancora aperti nelle vie dello shopping. Molti russi continuano anche a viaggiare all’estero e nel nel 2022 il consolato italiano ha rilasciato circa 100.000 visti. Secondo la Banca centrale il 2022 si è chiuso con un calo del Pil del 2,5%, molto contenuto quindi rispetto alle previsioni. Per il 2023 il Fmi prevede addirittura un segno positivo, con una crescita dello 0,3%. L’economia ha parato il colpo soprattutto grazie all’esplosione delle entrate dalle esportazioni energetiche: 330 miliardi di dollari nel 2022, secondo l’Ispi. Le restrizioni alle importazioni, invece, hanno in parte favorito un aumento di alcune produzioni locali. Ma in buona parte il blocco è stato aggirato grazie ai nuovi canali d’ importazione da Paesi terzi, primi fra tutti Turchia, Emirati Arabi Uniti e Kazakhstan.
Le big mondiali restano in Russia
Nonostante le affermazioni pubbliche, molte aziende occidentali sono rimaste operative in Russia: secondo uno studio dell’Università di San Gallo e dell’istituto Imd di Losanna, solo l’8,5% delle società della Ue e degli altri Stati del G7 hanno chiuso le loro controllate nel Paese. Rimangono anche le grandi banche d’affari americane Goldman Sachs e JP Morgan. L’Occidente continua tra l’altro a importare dalla Russia metalli preziosi, come il titanio, indispensabile per l’industria aeronautica. Tra chi ha lasciato la Russia c’è McDonald’s, che con l’apertura del suo primo fast food sulla Piazza Pushkin a Mosca nel 1990 era diventato un simbolo della distensione gorbacioviana.