Israele piange i suoi morti: proteste violente contro Netanyahu bloccano il Paese

La morte dei sei ostaggi, nelle mani di Hamas da quasi 11 mesi, ha convinto il popolo di Israele a scendere in piazza per chiedere a gran voce un accordo per la liberazione di chi è ancora in trappola nella Striscia di Gaza

Redazione
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Netanyahu può prendere tutte le decisioni e può anche decidere di uccidere tutti gli ostaggi“, con queste parole il ministro della Difesa di Israele Yoav Gallant ha presagito quello che sarebbe stato l’immediato futuro dello Stato ebraico. In contemporanea con la riunione del gabinetto di sicurezza, in cui è stato deciso di non cedere alla liberazione del corridoio Filadelfia, sei ostaggi israeliani venivano uccisi, colpiti a distanza ravvicinata da diverse pallottole e poi abbandonati nei tunnel al di sotto di Rafah.

La speranza nello Stato ebraico è finita ed ora i cittadini vogliono solo il ritorno degli ostaggi nelle loro case, tutti vivi. Nella giornata di ieri hanno avuto inizio le prime proteste nel Paese, come promesso da una delle associazioni che protegge le famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Sembrerebbe che circa 700mila persone siano scese in strada, per manifestare contro il governo Netanyahu e le modalità con cui sta gestendo i negoziati.

Durante le proteste non sono mancati gli scontri con la polizia, risultati in diversi feriti e circa 35 arrestati. La tensione è dunque alle stelle e anche oggi sono previste movimentazioni sul territorio israeliano. Secondo fonti vicine a Netanyahu, sembrerebbe che quest’ultimo sia preoccupato per la reazione dell’opinione pubblica e starebbe quindi valutando le prossime mosse da mettere in atto, nella speranza di porre fine alle proteste nel Paese.

La posizione di Netanyahu

L’ira delle famiglie degli ostaggi, così come dei normali cittadini israeliani, deriverebbe dalla conferma di Hamas che i sei ostaggi uccisi, sono morti per la mancata decisione di Netanyahu di sgomberare le aree contese sul territorio palestinese. I corridoi Filadelfia e Netzarim e il valico di Rafah sono ormai le strisce di terra su cui si sta giocando il destino del conflitto. Se il primo ministro israeliano non decide di liberarle il conflitto potrebbe non avere fine.

Uno dei punti centrali dell’accordo con la pace, infatti, vedrebbe Israele ritirare le sue truppe dall’intera Palestina, compresi i tre punti strategici. Netanyahu, però, non vorrebbe cedere alla richiesta, sia perché teme che i tre territori possano essere utilizzati da Hamas per rafforzarsi e far entrare armi nel Paese, sia perché il primo ministro non può permettersi di perdere la sua carica.

Benjamin Netanyahu, 6 ostaggi israeliani morti a Gaza
Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele

Sembrerebbe infatti che Netanyahu tema il momento in cui tornerà ad essere un privato cittadino, poiché sulla sua testa penderebbero tre processi per frode e corruzione che vanno avanti ormai da anni. Quindi, la consapevolezza che, nel caso di un cedimento verso le richieste di Hamas, le frange oltranziste del suo governo ne chiederebbero immediatamente la sfiducia tiene Netanyahu ancorato sulle sue posizioni.

Intanto però, il ministro della Difesa Yoav Gallant lavora per ottenere una liberazione dei tre territori, con l’obiettivo di sovvertire la decisione presa lo scorso venerdì. Sei ostaggi sono deceduti, ma il ministro è convinto che un’azione tempestiva potrebbe permettere ad Israele di portare a casa in vita decine dei suoi cittadini.

L’ira dei cittadini di Israele

Subito dopo la notizia della morte dei sei ostaggi, Netanyahu ha cercato di entrare in contatto con i loro famigliari. Quattro telefoni su sei hanno squillato senza ottenere risposta, poiché le famiglie non ritenevano necessario sentire le scuse di colui che è riconosciuto come l’assassino dei loro cari. Chi invece ha deciso di ascoltare le parole del primo ministro, lo ha sentito pronunciare delle scuse, ammettendo il fallimento del suo Stato nel tentativo di protezione degli ostaggi.

Le scuse del premier, però, non hanno fermato le proteste che hanno infuocato il Paese. Decine di migliaia di persone si sono riversate per le strade, pronte a manifestare contro un governo che preferisce i risultati strategici piuttosto che la vita dei suoi cittadini. Le manifestazioni si sono però presto trasformate in scontri sull’autostrada di Ayalon, dove la polizia ha sparato granate stordenti per liberare le carreggiate.

Dopo tre ore i manifestanti hanno lasciato Ayalon Darom e Lil Gallant, ma le strade non sono state riaperte al traffico perché durante il blocco i dimostranti hanno lanciato pietre, pezzi di recinzioni, chiodi e ferri, hanno acceso falò e hanno sparato fuochi d’artificio. Perché a bruciare di più nei cuori degli israeliani è la consapevolezza che tre delle sei vittime erano iscritte nelle liste delle prime persone da liberare dopo gli accordi per il cessate il fuoco.

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