Iran-Israele, ucciso il capo di Stato maggiore Shadmani: era la figura più vicina all’Ayatollah

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Quinto giorno consecutivo di attacchi missilistici incrociati tra Iran e Israele, nonostante i crescenti appelli internazionali alla tregua, i due Paesi non mostrano segnali di voler interrompere le ostilità iniziate venerdì, quando Tel Aviv ha lanciato una serie di raid aerei contro obiettivi militari e nucleari iraniani. Nella notte tra il 16 e il 17 giugno, entrambi i protagonisti della guerra hanno attivato i propri sistemi di difesa antimissile fermando una gran parte delle offensive nemiche.

L’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso il generale iraniano Ali Shadmani, che era stato nominato solo da quattro giorni come capo del quartier generale centrale di Khatam al-Anbiya, ovvero il comando unificato delle forze armate iraniane che si occupa del coordinamento delle operazioni militari congiunte. Notizia confermata a stretto giro dall’Iran. Il generale sarebbe rimasto ucciso nel bombardamento di un centro di comando attivo nel centro di Teheran durante la notte. Shadmani sarebbe stata la figura più vicina alla Guida Suprema iraniana Ali Khamenei.

Il suo predecessore, Alaa Ali Rashid, era stato eliminato nel primo raid che ha colpito lo Stato islamico, in quanto il centro di comando da lui gestito si sarebbe occupato delle operazioni di combattimento e dell’approvazione dei piani di fuoco dell’Iran. Secondo il comunicato rilasciato dall’Idf, questa figura avrebbe influenzato direttamente i piani operativi dell’Iran che avevano come obiettivo Israele.

Il timore di un’escalation in Iran

Intanto, gli occhi del mondo sono puntati sul conflitto, con il timore crescente e la preoccupazione di una escalation. Attraverso la propria ambasciata, Pechino ha chiesto ai cittadini cinesi di lasciare immediatamente Israele e di salvaguardare la propria incolumità. E sempre dalla Cina arrivano le accuse contro il presidente Usa, Donald Trump, che starerebbe “versando benzina” sul conflitto, dopo che il tycoon ha avvertito i residenti di Teheran di “evacuare immediatamente” la città. Anche perché a detta di Pechino, “fare minacce e aumentare la pressione non aiuterà a promuovere la de-escalation della situazione“.

Mentre il Pentagono ha annunciato l’invio di “capacità aggiuntive” nella regione, sempre più soggette a intemperanze e scossoni. La Casa Bianca ha puntualizzato che le forze statunitensi restano, almeno per il momento, in una posizione “difensiva“. Trump, pur affermando come gli States non abbiano preso parte agli attacchi iniziali, ha evitato di chiarire se Washington sia disposta effettivamente a intervenire militarmente. Fonti statunitensi citate dall’AFP sostengono che il tycoon sia però intervenuto personalmente per fermare un presunto piano israeliano volto ad assassinare la GuidA Supremo iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei.

Nel corso del summit che ha riunito i 7 big mondiali in Canada, la richiesta di una de-escalation è stata all’ordine del giorno, nonostante sia stato sostenuto il diritto di Israele alla difesa. E in una dichiarazione congiunta, i leader del G7 hanno definito l’Iranla principale fonte di instabilità e terrorismo nella regione” e hanno sottolineato che la Repubblica islamica “non deve mai ottenere un’arma nucleare“. E proprio in quest’ottica il presidente Trump ha deciso di lasciare con un giorno di anticipo il vertice a Kananaskis per concentrarsi sulla conflitto.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sembra però avere le idee molto chiare, dichiarando nella giornata del 16 giugno che l’obiettivo ultimo della “campagna” sia “eliminare i membri della leadership della sicurezza iraniana, uno dopo l’altro“, oltre ad aver ribadito come le azioni israeliane stiano “cambiando il volto del Medio Oriente” e che questo “potrebbe portare a cambiamenti radicali anche all’interno dell’Iran“.

E poi il bilancio, con numeri che salgono ogni giorno. In base a quanto riferito dal governo di Tel Aviv, finora le vittime sarebbero almeno 24 in Israele, con centinaia di feriti. Dall’altro fronte della guerra, invece, si comunica di almeno 224 morti, tra cui alti ufficiali, scienziati nucleari e civili nel Paese degli ayatollah.

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