“E’ tempo di pace” quando si tratta di Medio Oriente, è una scommessa a tutti gli effetti con un livello di rischio non molto accettabile. La guerra dei “12 giorni” tra Iran e Israele sembrava avesse messo un punto e fosse andata a capo lo scorso 24 giugno. Ma, nella parte occidentale di Teheran, è stata attivata la contraerea per delle esplosioni udite nell’area di Bidganeh, dove è ospitato un complesso militare e un sito missilistico oggetto di attacchi israeliani nelle scorse settimane.
Una riapertura alla tensione, proprio nel giorno in cui la Repubblica islamica dà l’ultimo saluto ai 60 “martiri” tra ufficiali di alto rango e scienziati, che hanno portato al progresso scientifico e migliorato le capacità di difesa e deterrenza del Paese. Vittime dei 12 giorni di conflitto iniziato lo scorso 13 giugno. Nella zona della famosa piazza Enghlab (della Rivoluzione) e dell’Università di Teheran, si è così radunata una folla che al posto delle armi imbraccia bandiere iraniane di cui le bare ci si avvolgono. Il corteo funebre percorrerà poi a piedi 11 chilometri per raggiungere piazza Azadi (della Libertà).
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Oggi, 26 giugno (7 Tir del calendario iraniano), Teheran ha ospitato la solenne cerimonia funebre dei Martiri dell’Autorità Nazionale: oltre 60 martiri della… pic.twitter.com/dw2VvfYLUZ
La cerimonia, come riportato dall’Agenzia Isna, alla quale partecipa anche il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, è iniziata con la recitazione del versetto 38 della Sura Hajj: “In verità, Allah protegge coloro che credono. In verità, Allah non ama alcun traditore e miscredente“, che risuonava in un fiume di persone, vestite di nero che sventolano bandiere iraniane e mostrano i ritratti delle vittime.
Dalla folla, poi, si sono levate le voci che suonavano slogan contro Israele e gli Usa: “Morte a Israele”, “morte
all’America“. Stando a SkyNews e Cnn, secondo quest’ultima al funerale anche gli slogan “morte al Primo Ministro israeliano Benyamin Netanyahu” e “morte al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump” e manifestazioni di fedeltà alla Guida Suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, scandendo: “Oh nobile Leader, siamo pronti!“
Intanto, rispetto e buona volontà sono le due condizioni poste dal ministro degli esteri iraniano, Abbas Araghchi, agli Usa per tornare a un tavolo dei negoziati. “La nostra premessa di base è molto semplice e diretta: conosciamo il nostro valore, diamo valore alla nostra indipendenza e non permettiamo mai a nessun altro di decidere il nostro destino“, ha scritto su X. Quindi, se il presidente a stelle e strisce “vuole davvero un accordo, dovrebbe mettere da parte il tono irrispettoso e inaccettabile nei confronti della Guida suprema dell’Iran, il Grande Ayatollah Khamenei, e smettere di ferire i suoi milioni di sinceri seguaci“, ha ammonito il ministro puntualizzando come il popolo iraniano non gradisca minacce e insulti.
Araghchi si è esposto commentando anche i suoi compatrioti che hanno dato il loro “sangue” durante la guerra di 12 giorni con Israele, ma “non l’onore“, mentre la Repubblica islamica celebra i funerali di Stato. “Gli iraniani hanno dato il loro sangue, non la loro terra – scandisce il ministro – hanno dato i loro cari, non l’onore; hanno resistito a una pioggia di bombe di mille tonnellate, ma non si sono arresi“. Dichiarazioni che hanno fatto eco ad una ben più forte: l’Iran non riconosce la parola “resa”.
I dubbi sulla capacità nucleare iraniana
Si leva, poi, la voce di Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’energia atomica (Aiea) che svela un po’ le carte in tavola, non escludendo che l’Iran abbia messo al sicuro uranio arricchito: “Non sappiamo dove sia questo materiale, parte potrebbe essere stato distrutto, parte spostato”, ha riferito alla Cbs. Un dubbio che sorge in quanto la Repubblica dell’ayatollah aveva un programma molto vasto e ambizioso, e “la capacità industriale c’è, l’Iran è un paese molto sofisticato in termini di tecnologia nucleare, come è ovvio“.
Per Grossi, quindi, l’annosa questione del nucleare iraniano non può essere risolto in “modo definitivo militarmente” anche solo per il semplice fatto che il Paese non può “disimparare quanto sa, operazioni militari o meno“.
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