L’incubo dell’Occidente è divenuto realtà. Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno ignorato i moniti internazionali, decidendo come sempre di procedere per la propria strada. Nella notte, quindi, i tre siti nucleari iraniani sono stati presi di mira dagli attacchi statunitensi. “Fordow è andata“, ha scritto il Tycoon sui social per festeggiare, facendo riferimento al principale sito nucleare dello Stato islamico, e dimenticando almeno per qualche minuto le conseguenze che questa sua azione potrebbe portare con sé.
L’Iran non è però intenzionato ad arrendersi. Il presidente Masoud Pezeshkian ha annunciato che vi sarebbo “risposte dure” all’aggressione portata avanti dagli Ua, anche per rispondere alle richieste del popolo iraniano. Oggi pomeriggio, nel centro di Teheran, una folla di manifestanti si è recata in Piazza della Rivoluzione, al grido di “Vendetta! Vendetta!” contro gli Stati Uniti. Il presidente ha preso parte alla manifestazione, dimostrando il suo sostegno alla causa dei cittadini.
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“Ci riserviamo il diritto di difendere la nazione e l’integrità territoriale del paese“, ha avvertito Pexeshkian, seguito dal ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, che ha sostenuto che l’Iran si difenderà con “tutti i mezzi necessari“. Questa sera, intanto, è prevista una riunione di emergenza sull’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Iran: “Parlamento favorevole a chiudere lo Stretto di Hormuz”
Teheran ha voluto immediatamente sottolineare alcuni punti fondamentali sulla situazione. “Gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra pericolosa contro di noi“, hanno dichiarato per poi aggiungere che lo Stato islamico non è intenzionato a lasciar correre o a lasciare impunito il proprio avversario. I primi raid sono già stati lanciati contro Israele, creando devastazioni ingenti sia ad Haifa che a Tel Aviv, ma ora resta da capire se l’Iran voglia realmente colpire obiettivi statunitensi.
Gli Stati Uniti hanno comunque dato inizio a un piano di rafforzamento della sicurezza nazionale. Le prossime 48 ore sono ritenute cruciali in questo senso, in quanto potrebbero divenire il teatro di una rappresaglia. Al momento il Pentagono, il ministero della Sicurezza Usa, non è in grado di stabilire se queste ritorsioni riguarderanno località all’estero o sul territorio nazionale. A preoccupare, però, è una possibile reazione statunitense ad un attacco iraniano alle proprie infrastrutture.
Teheran nel pomeriggio del 22 giugno, a meno di 24 ore dall’attacco Usa, ha annunciato l’intenzione di chiudere lo Stretto di Hormuz. Lo ha affermato il membro della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale, Esmail Kosari, sostenendo che affinché la decisione diventi definitiva è necessario anche un parere del Consiglio supremo di sicurezza nazionale. Immediata la risposta degli Usa, giunta attraverso le dichiarazioni del vicepresidente Usa, JD Vance: “Chiudere lo stretto di Hormuz sarebbe un suicidio“.
L’Iran ha inoltre chiarito che, nonostante i danni inferti dall’attacco statunitense, i piani per l’arricchimento dell’uranio proseguiranno. “L’industria nucleare è profondamente radicata nel nostro Paese e le sue radici non possono essere distrutte“, ha infatti spiegato alla tv di Stato il portavoce dell’agenzia statale iraniana per l’energia atomica, Behrouz Kamalvandi. Allo stesso modo, secondo il portavoce, le competenze della Nazione iraniana nel settore nucleare non possono essere distrutte.
Il piano iraniano per una rappresaglia contro gli Usa
Il rischio è che il conflitto degeneri proprio a causa dell’influenza degli Stati Uniti. Una possibilità temuta e che non può essere affatto ignorata. “Ora inizia la guerra“, hanno scritto le Guardie della rivoluzione iraniana subito dopo gli attacchi americani, sottolineando che il conflitto sarebbe entrato nel vivo solamente ora. Una guerra nei cieli e sulla terra del Medio Oriente che, come in ogni conflitto, rischia di creare più problemi di quanti effettivamente ne risolva.
L’Iran, intanto, ha scritto alle Nazioni Unite chiedendo una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza. Il fine sarebbe quello di denunciare l’uso illegale della forza da parte degli Stati Uniti contro la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica islamica dell’Iran, come si legge nella lettera inviata dall’ambasciatore iraniano Amir Saeid Iravani. L’Organizzazione dell’Energia Atomica dell’Iran, l’agenzia governativa responsabile dello sviluppo del programma nucleare ha invece sostenuto che gli attacchi messi in atto dagli Usa non avranno il potere di fermare i piani nucleari dell’Iran.
Iran, Araghchi: “L’Iran difenderà la sua sovranità”
Lo scenario che si delinea è dunque piuttosto incerto. Teheran è però convinta che difendere i propri interessi sia più importante di qualunque pace “imposta“. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che solo venerdì si trovava a Ginevra a discutere con gli omologhi di Francia, Germania, Regno Unito ed Europa, ora è pronto a dichiarare guerra contro chiunque metta in pericolo il benestare della sua Nazione.
Il ministro ha voluto ricordare che Israele e Stati Uniti hanno violato le trattative in corso, decidendo di attaccare l’Iran andando contro ogni convenzione internazionale. “Il governo Usa si assume la piena responsabilità delle gravi conseguenze e delle terribili ripercussioni di questo crimine efferato“, ha sostenuto Araghchi, per poi aggiungere convinto: “L’Iran si riserva tutte le opzioni per difendere la sua sovranità, i suoi interessi e il suo popolo“.
Immediato il supporto degli alleati. L’organizzazione terroristica palestinese, Hamas, ha condannato l’attacco portato avanti da Trump, sostenendo che si tratti di una “pericolosa escalation“. I ribelli Houthi dello Yemen hanno invece dichiarato di essere pronti a “ampliare la portata del conflitto finché non cesseranno gli attacchi all’Iran“, per poi aggiungere di voler lanciare attacchi contro le forze Usa nel Mar Rosso. Un canale affiliato alle Guardie Rivoluzionarie ha invece annunciato possibili ritorsioni contro le basi statunitensi presenti in Medio Oriente.
Di fronte a un tale schieramento di forze, comunque, Donald Trump non si è lasciato scalfire. Negli Stati Uniti l’attenzione è massima nei luoghi di culto e interesse islamico e israeliano. In Medio Oriente, invece, ormai da mesi sono rafforzate le misure di sicurezza intorno alle basi statunitensi. Il Tycoon ha poi deciso di utilizzare una delle armi più potenti a sua disposizione per tentare di allontanare l’Iran dalle sue intenzioni: “Qualsiasi ritorsione di Teheran contro gli Stati Unti sarà contrastata da una forza molto superiore a quella che è stata usata questa notte“.
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