Pale, secchi, e carrelli della spesa riempiti con le poche scorte rimaste: è questo lo scenario che caratterizza l’area metropolitana a sud di Valencia dopo le torrenziali piogge che hanno sconvolto la regione. Nei comuni come Paiporta, La Torre, Picana, Chiva e Torrente, un impressionante corteo di cittadini disperati avanza tra auto capovolte, alberi sradicati e detriti, alla ricerca di acqua potabile e viveri. In senso opposto, brigate di giovani volontari giungono a piedi per portare assistenza e aiuti, caricati a spalla con ogni mezzo disponibile.
Due giorni dopo l’inizio del maltempo, l’entità della catastrofe appare in tutta la sua gravità: il bilancio delle vittime ha già superato i 200 morti, con numerosi dispersi. Le prime squadre della Protezione civile iniziano ad arrivare, ma per i sopravvissuti è un’amara attesa. Cristina Lopez, 53 anni, racconta ad ANSA il dramma vissuto dalla sua famiglia: “Per 48 ore siamo stati soli, immersi nel fango. I cadaveri vengono estratti da auto, case e garage. Se solo avessero dato l’allarme prima, molte vite si sarebbero potute salvare”. Lei, suo marito Victor Monleon e il figlio Hugo sono tra i pochi scampati alla morte a Paiporta, epicentro della catastrofe.
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La rabbia dei sopravvissuti è palpabile, indirizzata verso le autorità accusate di ritardi nell’allertare la popolazione e di aver lasciato la zona senza rifornimenti di acqua potabile ed elettricità. “L’acqua del torrente è salita a tre metri in pochi minuti. Ho avuto appena il tempo di scappare e già mi trovavo immerso fino al collo“, ricorda Gaetano Marletta, titolare dell’officina “Taller Marletta”, devastata come molte altre attività locali dall’ondata di piena del torrente Poyo, che ha colpito duramente Chiva, Cheste, Torrente, Catarroja e Paiporta.
Il dramma della giovane madre, Maria Gracia Lourdes, 34 anni, trovata morta in un’auto che il marito aveva cercato disperatamente di ancorare a un palo, si aggiunge alla lunga lista di vittime. “Abbiamo sperato in un miracolo fino all’ultimo, ma non c’è stato. Siamo distrutti”, dice in lacrime Maribel Gomez, una vicina.
La sindaca di Paiporta, Maria Isabel Albalat, ha confermato almeno 45 vittime nel suo comune, mentre altri corpi continuano ad essere recuperati nei garage e nelle cantine ancora allagate. Cristel, residente a Catarroja, denuncia l’assenza di aiuti: “Abbiamo bisogno di acqua, cibo, medicinali. Gli aiuti non arrivano”. La barriera di auto e detriti lasciata dall’ondata rende impossibile l’accesso a molte zone.
A La Torre, sono stati rinvenuti senza vita otto residenti in un edificio di due piani, travolti dalla furia del torrente Poyo che, insieme al fiume Magro, si è trasformato in un’inarrestabile valanga di fango con una portata devastante di 2.200 metri cubi d’acqua al secondo.
Le vittime sono state trasferite in un parcheggio allestito come obitorio presso il Palazzo di Giustizia di Valencia. Le salme vengono identificate tramite esami del DNA e autopsie condotte da una squadra di medici forensi, ha dichiarato Manquique Castello, responsabile della comunicazione della cittadella giudiziaria. I familiari delle vittime sono ancora in attesa di poter accedere alle salme per dare l’ultimo saluto.
In questa città, simbolo della modernità e del benessere, la tragedia ha lasciato un segno indelebile, ricordando drammaticamente la potenza distruttiva della natura e la fragilità delle vite che essa travolge.
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