Dazi, Trump chiude al Canada e pressa l’Ue. Asse Meloni-Merz per l’ok al 10%

La scadenza del 9 luglio per i dazi? Potrebbe, come non potrebbe, con il chiaro messaggio di Trump che ha in mano le carte vincenti e può decidere come orientare la partita e vuole giocare a sue condizioni. Tariffe del 10% alla Ue e più acquisti di gas e armi, ma l'Europa si divide: da un lato Roma e Berlino che accetterebbero subito pur di finirla con l'incertezza prolungata trumpiana, dall'altro Parigi (un po' orgogliosa) che non vuole darla vinta al presidente Usa

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Dodici giorni per trovare un’intesa senza rimanere sotto scopa da Donald Trump. Quel 7 di denari del dossier dazi è tornato in grande forma sul tavolo negoziale dopo l’invio di una nuova proposta dell’amministrazione statunitense alla Commissione Ue. Ma, come da aspettarsi, più che un’offerta, da Washington arriva un testo preliminare senza cifre e scritto sulla base di una massima data per scontata: i dazi trumpiani sui prodotti europei partiranno dal 10%, quelli europei da zero.

Quindi, la strategia europea che si articolava su un’intesa “reciprocamente vantaggiosa” non è attuabile e c’era da aspettarselo. Quindi, i tempi stringono e Bruxelles deve reinventarsi. E deve pescare dal mazzo un nuovo accordo prima del 9 luglio, quando scadrà la tregua nella guerra commerciale tra le sponde dell’Atlantico e si riattiveranno le tariffe al 50% a tutti i prodotti “made in Ue.

Minaccia dazi, come si copre le spalle l’Ue

Tuttavia, tutelarsi è un obbligo. E la Commissione sta pensando infatti di allargare la sua rete di scambi commerciali regolati, partendo dall’Accordo per il Partenariato transpacifico, che include Paesi di Oceania, Sud-Est asiatico e Americhe. Ma che tiene fuori Usa e Cina. E’ da qui che la presidente della Commissione ue, Ursula von der Leyen, vorrebbe costruire una sorta di Wto 2.0, senza ovviamente scontrarsi con la vera e propria Organizzazione mondiale del commercio.

L’asse Italia-Germania che taglia fuori la Francia

Finora, è come se gli Usa fossero rimasti voltati e avessero fatto finta di non vedere, per lasciare margine all’Unione di muoversi in libertà alla ricerca della soluzione. Ma, il torcicollo inizia a farsi sentire, tanto che Trump ha avvertito dell’eventuale anticipo della scadenza giocando sulla psicologia: “Possiamo fare tutto quello che vogliamo, potremmo estenderla, potremmo accorciarla“. Una tecnica che sembra funzionare su Italia e Germania che si dicono disposti ad accettare un 10% pur di continuare in questo clima di prolungata incertezza. Cosa che non ha intaccato la Francia, decisamente più intransigente nella trattativa. Quindi, in Ue è ancora tempo della cautela. Le divisioni interne sono dietro l’angolo.

Anche perché, è arrivato il momento di dare certezze alle aziende. Se il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a margine dei lavori del vertice Nato, ha reso pubblico che metterebbe la firma sui dazi generici del 10% anche unilaterali, fa pensare che ci possa essere un motivo ben preciso. Probabilmente, con le conversazioni dirette avute con il tycoon, la premier si è convinta che comunque vadano i negoziati in corso tra Washington e Unione europea, difficilmente si tornerà allo zero. Quindi, quel 10% potrebbe risultare il male minore, con cui tutti dovranno avere a che fare.

Meloni pone fiducia nelle aziende italiane, che potranno reggere l’impatto, perché un certo tipo di barriera tariffaria può essere riassorbito in un nuovo gioco di equilibri, fra minori guadagni del produttore e maggior costo del consumatore. Visione contrapposta è quella di Emmanuel Macron, secondo il quale si può tornare a minacciare la Casa Bianca di una risposta simmetrica o superiore e la teoria che la stabilità dei mercati facciano premio anche su un possibile sacrificio della Ue, non vengono condivisi da tutti gli Stati membri. E così, l’asse Roma-Berlino sembra solidificarsi.

C’è un nodo interessante che potrebbe però svoltare la partita, che Meloni ha avuto modo di affrontare nei bisbiglii con Trump. L’aumento delle spese militari con il raggiungimento del fatidico 5% da parte europea come desidererebbero gli Usa, in teoria presupporrebbe tariffe zero e una zona free trade: nel momento in cui Washington chiede all’Ue di fare uno sforzo finanziario sul fronte militare, non può poi deprimerne il Pil con i dazi.

Niente acero sulle stelle statunitensi

Sulla sponda Ovest dell’Atlantico, intanto, continuano i segnali sibillini di Trump. Interrompendo, ad esempio, improvvisamente le trattative con il Canada e accusando Ottawa di aver imposto una tassa sui servizi digitali sulla aziende americane, “un diretto e chiaro attacco al nostro Paese“. Sulla base di questa tassa “esorbitante”, con la presente lettera si interrompono i rapporti, con effetto immediato non esistono più margini per le discussioni sul commercio con il Paese della foglia d’acero.

E così, da un lato la tentazione di una reazione muscolare, di sbattere quella carta della linea dura sul tavolo delle trattative, dall’altra la volontà di chiudere la partita prendendo i punti fatti ed evitare debiti di gioco.

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