Scontro tra titani. Tornano in campo Cina e Stati Uniti, questa volta però a lanciare per primo la freccia, o quasi, è il dragone che accusa gli Usa per l’escalation della guerra commerciale, dopo che Washington ha importo nuove restrizioni alle aziende mandarine a dispetto dei complessi colloqui bilaterali avuti dalle parti.
Insomma, per Pechino è solo un passo falso a stelle e strisce. Attraverso il ministero del Commercio, ha criticato il piano di Donald Trump di imporre dazi aggiuntivi del 100% sui beni made in China, oltre ad aver minacciato nuove contromisure.
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Le accuse sono state mosse dopo una dinamica messa in evidenza da un portavoce di Pechino. Nella prima risposta ufficiale ai piani bellicosi dei tycoon, il funzionario cinese ha rimarcato che da quando i due Paesi hanno tenuto a settembre i negoziati a Madrid, gli Usa hanno “continuamente introdotto una serie di nuove restrizioni contro la Cina“. E tra questi giri di vita, figura anche l’inserimento di aziende cinese nella lista nera del commercio. Da qui, i puntini sono stati messi sulle i e non si sentono più ragioni: “La posizione della Cina sulle guerre tariffarie è stata coerente: non vogliamo combattere, ma non abbiamo paura di farlo“.
Lo scorso 10 ottobre, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato che avrebbe imposto controlli all’export “su larga scala” su “praticamente ogni prodotto“, compresi “i software critici“, insieme ai dazi. Si tratterebbe, secondo quanto appreso da un poost sui social pubblicato dallo stesso tycoon, di nuove misure che saranno imposte entro il primo novembre. Ma come ha ricordato e sottolineato il ministero del Commercio, “minacciare di imporre dazi elevati a ogni occasione non è il modo giusto per interagire con la Cina“. E in una prospettiva del genere, il dragone non resta in panchina, quindi “se gli Usa dovessero persistere nella loro linea, la Cina adotterà risolutamente misure corrispondenti per salvaguardare i propri legittimi diritti e interessi“.
Ma bisogna anche tenere presente che la minaccia di Trump fa seguito a una lunga serie di misure adottate dalla Cina negli ultimi due giorni, che hanno esteso i controlli sull’export di terre rare e tecnologie correlate, nonché di attrezzature e materiali per la produzione di batterie. Pechino ha anche avviato un’indagine antitrust contro Qualcomm, ovvero il colosso californiano dei microchip, ed ha imposto quelle che ha definito “tasse speciali” sulle navi di proprietà o gestione americana che attraccano nei porti cinesi. Una mossa speculare e offensiva a quella decisa da Washington che è entrata in vigore dal 14 ottobre scorso.
Ma queste azioni da parte di Pechino sono apparse agli occhi degli osservatori una sorta di strategia mirata per aumentare il peso negoziale in vista del vis à vis tra Trump e l’omologo Xi Jinping in Corea del Sud a fine mese, a margine del forum Apec. Un bilaterale, che proprio lo scorso 10 ottobre, il tycoon, infastidito per l’approccio cinese definito “ingiustificato“, ha sollevato dubbi che l’incontro potesse tenersi. A stretto giro a poi corretto il tiro dicendo che probabilmente ci sarebbe stato.
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