In discussione fra gli emendamenti alla Legge di Bilancio quello sul Tfr, portato avanti da Walter Rizzetto (FdI). La misura prevede l’introduzione di un lasso di tempo di sei mesi, durante i quali i lavoratori dovrebbero dichiarare l’intenzione di tenere il proprio Tfr in azienda. La mancata esplicitazione vale come silenzio-assenso, per cui scatterebbe il versamento ai fondi-pensione privati.
Già nel 2007 la riforma della previdenza complementare aveva introdotto un provvedimento simile. I dati Covip, tuttavia, non hanno rilevato flussi significativi verso i fondi privati: dal 2007 a oggi, su un totale di 438 miliardi, hanno ricevuto 97,3 miliardi di euro, il 22,2%.
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La fetta più grande dei Tfr, il 55%, è rimasta accantonata nelle aziende, non essendo obbligatorio versarlo al Fondo di Tesoreria per le imprese con meno di 50 dipendenti. La restante parte è andata invece alle casse dell’Inps, in cui sono confluiti, dal 2007 a oggi, quasi 100 miliardi di euro.
Rizzetto, “Una manovra a favore dei giovani”
L’introduzione dei sei mesi di silenzio-assenso, sostiene il presidente della Commissione Lavoro della Camera, “serve a rafforzare la seconda gamba della previdenza, in particolare a favore dei giovani”. Per questi ultimi – soprattutto a causa del sistema contributivo – si prospettano pensioni sempre più basse. Il che, spiega Rizzetto, motiva il “bisogno di incentivare la previdenza complementare”.
Non sarebbe motivo di preoccupazione l’impatto che questa misura avrebbe sulle imprese, tantomeno sull’Inps. Quest’ultimo, infatti, “ha un bilancio assolutamente solido”, sottolinea il deputato di FdI.
Non solo, ma di fronte agli scetticismi dovuti ai possibili rivolgimenti negativi per un lavoratore disinformato Rizzetto risponde che l’emendamento intende colmare questo difetto di conoscenza. “Nel testo prevedo che sia compito della parte datoriale far conoscere questo strumento alla platea dei lavoratori che poi a loro volta possono decidere liberamente cosa fare del loro Tfr”.
Il presidente Inps “il governo non tocchi il Tfr”
L’allarme per le sorti dell’Inps viene in primo luogo dal Presidente dell’ente di Previdenza Fava, che ha sottolineato la necessità di ricostituire il fondo pubblico di previdenza complementare. FondInps, infatti, è stato chiuso definitivamente nel 2020.
L’Inps quindi non potrebbe trarre beneficio in alcun modo dall’emendamento in questione. La perdita che subirebbe, inoltre, sarebbe molto significativa, considerando che, dal 2007 al 2023, ha ottenuto il 22,5% del totale dei Tfr. A trarre un vantaggio reale da questa manovra saranno invece i servizi privati di previdenza complementare, che avranno accesso ad almeno una parte del valore dei Tfr che negli anni passati sono confluiti nell’Inps.
Un’ipotesi, questa, confermata dalle stesse attitudini dei lavoratori, che, come rilevato da Covip, tendono a sfruttare il loro monte previdenziale non come integrazione alla pensione, bensì come Tfr: la quasi totalità delle prestazioni degli schemi di previdenza complementare nel 2023 sono state erogate come “prestazioni in capitale”. Pochissimi hanno deciso di vincolare i propri soldi in un fondo pensione.
Non ci sarebbe motivo di pensare, perciò, che una soluzione come quella proposta vada incontro alle tendenze o alle necessità dei beneficiari dei Tfr.
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