Il Pride è ancora divisivo: “Resistere è l’unica cosa da fare”

Emanuela Felle
5 Min di lettura

Dai Moti di Stonewall del 1969 alla questione del patrocinio negato al Pride di Roma, la manifestazione dell’orgoglio lgbtq+ è un campo di battaglia. Mario Colamarino, presidente del Circolo Mario Mieli: “Episodi come questi ci compattano”

Il Pride non è mai stato così divisivo. Il giro di valzer andato in scena fra la Regione Lazio e l’organizzazione del Roma Pride è un esempio della repulsione magnetica fra certe lotte sociali mai spente e le fazioni politiche del momento.

Il terreno delle rivendicazioni omolesbobitransfobiche è da sempre un campo di battaglia. “Non c’è spazio per la mediazione – afferma Mario Colamarino, presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma, l’istituzione romana di lotta per i diritti civili, e organizzatore della manifestazione per le vie della Capitale – Resistere è l’unica cosa da fare”.

Pride, le discussioni sul valore

Luoghi di aggregazione o circostanze di autoghettizzazione? Una carnevalata inutilmente eccentrica o una festa all’insegna della libertà? E perché non festeggiare anche un etero-pride? Le discussioni sul Pride spesso nascono già fallimentari, perché impantanate nelle sabbie mobili della morale e dell’individualismo, ovvero nella presunzione di poter indicare la validità di un fenomeno sulla base di una lettura egoriferita. Giudicare il valore della festa dell’orgoglio lgbtq+ contiene un errore in partenza e in potenza. Il raduno – che vede la sua origine nei Moti di Stonewall del 1969 capeggiati dalle impavide Marsha Johnson e Sylvia Rivera – nasce volutamente come dichiarazione di liberazione, non conformità ed esagerazione.

Patrocinio, Rocca vs Colamarino: “Così annacquato, non lo avremmo voluto”

“Il Pride è libertà e liberazione. Nel momento in cui c’è visibilità e aggregazione, si è liberi di essere sé stessi”, prosegue Colamarino, che rincara la dose sulla questione del patrocinio negato: “Così annacquato, non lo avremmo voluto”. “Il Pride – aggiunge – resta un evento di e per tutti, non solo di una comunità. È una grande festa: partecipata, e colorata. Un grande spazio di rivendicazione”, che quest’anno si carica di una tensione in più. “Episodi come questi ci compattano, rafforzano i valori e i sentimenti alla base”.

I numeri della discriminazione: il problema dell’underreporting

Detrattori vecchi e nuovi del Pride si assommano gli uni agli altri anche quest’anno. E sempre quest’anno, l’Italia perde clamorosamente la partita dell’inclusività e del contrasto alle discriminazioni omolesbobitransfobiche. Secondo Ilga Europe – parte europea dell’associazione internazionale per i diritti lgbtq+ dell’Onu – l’Italia si posiziona in fondo alla classifica dei Paesi europei per politiche a tutela dei diritti umani e dell’uguaglianza, ottenendo solo un 34° posto (su 49). Oltre i numeri, ci sono le violenze sommerse o taciute. La Gay Help Line – il contant center antiomofobia e antitransfobia – certifica che solo il 38% delle vittime di aggressione si è recato in pronto soccorso dopo aver riportato lesioni e nella maggior parte dei casi non ha dichiarato di aver subito violenza di matrice omolesbobitransfobica. Un dato che risulta costante nel tempo è la difficolta delle vittime di denunciare: il fenomeno dell’underreporting incide in maniera preoccupante sul riconoscimento dell’entità delle discriminazioni.  

Pride: folla e visibilità

La folla che sabato pomeriggio riempirà le strade della città di Roma, da Piazza della Repubblica fino ai Piazza della Madonna di Loreto, passando per i Fori, ha in sé l’eroismo incosciente del rispondere con audacia a una società governata dall’intolleranza. Gli individualismi scompaiano, per dar posto a una fiumana di persone che marcia verso un’ideale collettivo di libertà. L’orgoglio diventa una questione serissima. È una folla che ha la spontaneità e la ferocia del sentimento di resistenza, l’organizzazione propositiva della rabbia e del dolore. “Queeresistenza è il nostro slogan per quest’anno. Tutto nasce dalla resistenza. La resistenza ha in sé la trasformazione”.

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