Tre domande ad Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale fra la modifica del testo base della Repubblica e il possibile referendum sul presidenzialismo
Antonio Baldassarre, ex presidente della Corte Costituzionale, fa chiarezza sui cambiamenti che l’Italia potrebbe affrontare nei prossimi tempi. Non solo il proposito di Giorgia Meloni – temuto e gridato negli ambienti di centrosinistra – di un ipotetico cambiamento nella Costituzione, ma anche l’idea di Silvio Berlusconi di rendere il Paese una Repubblica presidenziale, sul modello francese, anziché parlamentare.
Presidente Baldassarre, siamo in un periodo molto delicato di campagna elettorale. Nel centrosinistra si paventa l’idea che, in caso di vincita di Fratelli d’Italia, la Meloni potrebbe cambiare la Costituzione. Potrebbe veramente avere i poteri necessari per farlo? E in che direzione si andrebbe?
Tutto dipende dalla maggioranza parlamentare che il futuro governo otterrà. Per la revisione della Costituzione c’è bisogno dei 2/3 dei voti concordi – e in questo caso la riforma viene fatta direttamente dal Parlamento – oppure della maggioranza assoluta, con la possibilità poi, quasi scontata, che venga esperita tramite un referendum.
Questi sono requisiti formali al quale seguono quelli politici sostanziali: sarebbe buona regola, infatti, al momento di revisione della Costituzione, che ci sia un’ampia convergenza che coinvolga anche la minoranza. Dovrebbero susseguirsi delle procedure all’interno del Parlamento tali da coinvolgere anche l’opposizione.
Questo avviene in linea di norma. La verità è che bisogna anche riconoscere che in passato non è sempre avvenuto così: la più importante revisione della Costituzione fu fatta nel 2001 da un governo di sinistra, all’epoca di Giuliano Amato, con una risicatissima maggioranza assoluta e quindi senza il coinvolgimento della minoranza. Ci sono le buone regole e poi, come sempre, ci sono le prassi che a volte si distaccano dalle regole.
È stata molto discussa l’idea presentata da Berlusconi di una forma di presidenzialismo diretto, tanto che negli ambienti di centrodestra si mormora di un ipotetico referendum per portare agli italiani la questione. Ammettendo che ciò accada, come verrebbero ridistribuiti i ruoli costituzionali?
Da ciò che ho letto la proposta avanzata è basata sul modello francese, ovvero un semipresidenzialismo, cioè un presidente della Repubblica che è anche capo del Governo che viene eletto dal popolo e un Governo nominato da esso che deve avere anche la maggioranza del Parlamento. È una proposta che ha la stessa legittimità di un governo parlamentare.
Non si può dire che i principi supremi della Costituzione, se dovesse essere cambiata la forma di governo, vengano modificati. Allo stesso modo dovremmo dire che la Francia o l’Austria non sono democrazie. Tutto questo fa parte della polemica politica, ma non ha alcun fondamento reale.
La distribuzione dei poteri non cambierebbe, ma si dovrebbero rivedere certi equilibri, come la nomina dei giudici costituzionali. Il presidente della Repubblica non è più un organo superpartes ma appartiene al Governo e a quel punto si dovrebbero modificare le quote distribuite per le nomine dei principi costituzionali.
Parliamo del taglio dei Parlamentari. Questa sarà la prima legislatura a presentare un numero ridotto di rappresentanti alle Camere. In un’Italia che è demograficamente più numerosa rispetto a quei 44 milioni del 1948, quale senso assume questo cambio di rotta, secondo cui si avrebbero meno esponenti per più persone?
Io non ho visto con sfavore la riforma della riduzione dei parlamentari. Nel 1948 c’era una situazione molto diversa, il Parlamento era l’unico organo rappresentativo: non c’erano Consigli regionali e tutte le piccole assemblee parlamentari di livello locale che fanno leggi.
Il paragone della proporzione di popolazione non mi sembra corretto. Se noi confrontassimo la nostra popolazione, la grandezza della Nazione, rispetto ad altri Paesi, si vede come avevamo un numero di rappresentanti politici nelle istituzioni molto alto.
Questa risoluzione non è un grande scandalo. Certo è che si trattava di modificare anche la legge elettorale, soprattutto i collegi, cosa che non è stata fatta e questo crea molti problemi. Per le prossime elezioni abbiamo una legge elettorale pessima e dei collegi disegnati male che aggravano la situazione.