Siamo andati a trovare Giulio Rapetti Mogol nella sua tenuta in Umbria. Un dialogo a tu per tu con il maestro, che fra ironia e semplicità, ci ha regalato delle piccole pillole di saggezza
«Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi… emozioni». Cantava così Lucio Battisti nel 1970 in un brano scritto a quattro mani con il maestro Mogol. Quando ci si trova seduti vicino a una delle colonne portanti della musica italiana non sono molte le parole da dire. Poco importa che Giulio Rapetti Mogol si mostri quieto e umile, la sensazione è sempre quella di ritrovarsi al cospetto di una gigantesca montagna quando sei solo un piccolo fiore che ancora deve sbocciare.
Vita a Toscolano
Vive nella sua tenuta immersa nel verde, vicino Toscolano, nella campagna umbra, dove tutto è calmo e silenzioso: sono lontani i rumori della città e la frenesia della vita di tutti i giorni. Mentre si entrava nel lungo sentiero che porta alla sua dimora la prima grande sensazione è quella di essere in una realtà immensamente diversa da quella che siamo abituati a vivere. Chissà come è stato vivere il periodo di pandemia, del primo lockdown, immersi in quel verde, quando le città di tutto il mondo si stringevano in uno strano e irrequieto silenzio mentre lì la vita, fra un uccellino canterino e un albero che fa ombra, non è cambiata quasi per nulla. Più tardi, Mogol ci spiega che è stata una decisione ben precisa quella di trasferirsi dalla caotica Milano di trent’anni fa alla pace più assoluta dell’Umbria: una scelta di stile di vita più salutare, lontano non solo dallo smog ma anche dal chiasso e dalla movida.
Tra una telefonata e l’altra
Fra una piccola chiacchiera e l’altra inizia l’intervista. Cala il silenzio nel salotto dove eravamo, tutti attenti a seguire le parole di un uomo dalla vita così intensa che noi non possiamo che raccogliere solo delle piccole briciole dei suoi insegnamenti. Ma… il telefono del maestro squilla più e più volte, lui si scusa e ci dice che è costretto a rispondere: un’emergenza sanitaria, una persona che non sta bene. La vicenda non lo tocca in prima persona, ma questo non gli impedisce di prodigarsi per aiutare il diretto interessato con un giro di telefonate. Fra uno squillo e un altro, il maestro ci chiede più volte perdono per quella che per noi potrebbe essere una “perdita di tempo” ma che per lui è veramente importante. A imprevisto risolto, spegne il cellulare e lo lascia sul divano: «Ora basta, sono tutto vostro. Prego». I minuti dell’intervista sono intensi: si toccano tanti temi, dalla guerra in Ucraina, alla musica, fino alla salute e la prevenzione di malattie.
La sorpresa Bennato
Questo racconto potrebbe terminare così, Mogol in soli venti minuti di intervista ha già potuto lasciarci uno splendido patrimonio di nozioni e idee su cui riflettere. E invece è il dietro le quinte quello a lasciarci senza parole. Il maestro, lontano ormai dall’incombenza dell’intervista, si lascia andare. Socializza con noi, ci racconta della sua famiglia: ci mostra le foto dei figli, dei nipoti, della moglie. Sono attimi bellissimi e commoventi: quell’uomo che ha fatto la storia della musica italiana, quella montagna gigante e insuperabile, alla fine è solo un marito, un nonno, un padre. Ci mostra poi un quadro: un disegno di una piramide in cui sono disegnati minuziosamente gli schieramenti militari dall’alba dei tempi, con gli opliti greci, fino ad oggi, fra carri armati e missili nucleari. «Lo sapete chi me lo ha regalato? Edoardo. Bennato, intendo. È un artista eccezionale, a tutto tondo. Mi ha portato questo quadro la scorsa estate quando ha suonato qui per un concerto bellissimo», ci ha rivelato il maestro. E noi, ignari di questo talento magistrale che ha Bennato per la pittura, siamo rimasti stupiti.
Ma cosa pensa Mogol della scena musicale italiana? Non dice molto, sa che le sue parole hanno un peso non indifferente. L’unica battuta che fa è: “Io non guardo Sanremo”, e ci fa un pò sorridere che la più grande manifestazione canora italiana non abbia fra i milioni di telespettatori che raccoglie ogni anno il più prolifico autore di canzoni di sempre.
Il momento più intimo arriva però in modo inaspettato: ci racconta dei suoi incontri con Papa Francesco, del rapporto di stima che li lega in modo reciproco. Due grandi pezzi della storia contemporanea che si incontrano a tu per tu, parlando di Chiesa, di spiritualità e dei problemi che affliggono il mondo.
Le impressioni che si hanno dopo una mattinata passata con Mogol sono tante: un uomo pacato e riservato, che ama la vita e che a 85 anni, dopo decenni di onorata carriera, trova ancora qualche progetto da realizzare. “Maestro, lei ha un sogno?”, abbiamo chiesto durante l’intervista. “Sì”, ci ha risposto senza esitazione. Mogol ha fatto dell’altruismo il cardine della sua esistenza: dall’accoglienza recente di una famiglia di profughi ucraini, al loro inserimento sociale, fino ai progetti per l’apertura di un centro specializzato nella prevenzione primaria. La sensazione è quella di un uomo che ha avuto tanto dalla vita e che ora usa quel “tanto” per aiutare gli altri meno fortunati di lui.
E così, fra due (dei tanti) dischi d’oro sull’uscio di casa, un Leone d’oro di Venezia che ruggisce dal suo angolino sul mobile e due Telegatti che ci guardano curiosi da sotto la televisione, lasciamo la dimora del maestro Mogol, con la calda sensazione che, da grande uomo di cultura quale è, ha saputo impartirci una delle lezioni più preziose di sempre: il lavoro paga, ma non bisogna mai perdere quel filo rosso che connette ciascuno di noi alle vere e piccole cose della vita.