Donne e lavoro: una su cinque non lavora più dopo il primo figlio

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Alla vigilia dell’8 marzo i dati che emergono dal “Rapporto plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro” sulle donne madri e lavoratrici non raccontano nulla di buono: dopo la nascita di un figlio il 18% tra i 18 e i 49 anni di donne non lavora più. Tra le motivazioni prevalenti: mancata conciliazione tra lavoro e cura dei figli (52%) seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%)

Alla vigilia dell’8 marzo, la giornata internazionale della donna, i dati che emergono dal “Rapporto plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro” che raccoglie i risultati dell’indagine dell’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), non raccontano nulla di buono.

Infatti, i dati fotografano una situazione ancora preoccupante in materia di disparità di genere. C’è ancora, purtroppo, tanta strada da fare per colmare il gap tra donna e uomo per quanto concerne il giusto equilibrio tra lavoro e famiglia. Infatti, la donna ancora troppo spesso viene licenziata perché decide di avere un figlio, questa pratica non è assolutamente riservata ai lavoratori che diventano padri. 

Secondo i dati di Inapp plus, infatti, dopo la nascita di un figlio quasi una donna su cinque, il 18%, tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% resta nel mondo dell’occupazione. Nel Sud e nelle Isole solo il 29%. La motivazione principale di rinunciare alla vita lavorativa è la non conciliazione tra lavoro e cura dei figli (52%), a seguire c’è il mancato rinnovo del contratto oppure il licenziamento (29%) e infine, scelta guidata da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19 %).

Il presidente dell’Inapp commenta i dati: “Forma di dispersione del capitale umano che è quella legata al mancato sostegno e valorizzazione dell’occupazione femminile” (sottotitolo)

L’indagine “Rapporto plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro” si basa su un campione di 45mila donne dai 18 ai 74 anni di età. La quota di donne che non lavorano né prima né dopo la maternità è del 31,8 % mentre la quota delle donne che hanno trovato lavoro dopo la nascita del primo figlio è del 6,6%. Dato preoccupante che dimostra che avere figli può risultare un problema per le aziende che assumono.

Il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, parla della situazione attuale come una forma di dispersione del capitale umano. “Il percorso delle donne verso una piena e stabile occupazione – spiega Fadda – è spesso una vera e propria corsa a ostacoli. Si parla spesso di fuga di cervelli, ma esiste un’altra forma di dispersione del capitale umano che è quella legata al mancato sostegno e valorizzazione dell’occupazione femminile”.

L’Italia ultimo paese per tasso di fecondità in Europa

Non a caso, le donne oggi più che mai decidono di non fare figli. “L’Italia è l’ultimo paese per tasso di fecondità in Europa, e proprio nel 2022 è stato toccato il minimo storico di 400 mila nuovi nati – continua Fadda – peraltro, la maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della partecipazione femminile”.

Sempre dal rapporto Inapp emerge che nei nuclei composti da un solo genitore sono più elevate le quote di uscita dall’occupazione dopo la maternità, 23% contro il 18%, tra le coppie. Mentre per quanto riguarda le coppie è maggiore la permanenza nella non occupazione 32% contro il 20% tra i monogenitori. 

Tra i diversi problemi per riuscire a conciliare lavoro e famiglia i genitori, e in particolare le donne, devono confrontarsi anche con la scarsa disponibilità e accessibilità degli asili nido. Le problematicità circa i servizi per la prima infanzia sono confermati sempre dai dati del report. Si legge, infatti, che il 56% di genitori occupati ha dichiarato di non aver mandato i propri figli tra 0 e 36 mesi all’asilo nido. Mentre tra chi dichiara di mandare i propri figli al nido, poco meno della metà, il 48 %, ha usufruito del servizio pubblico mentre una quota pari al 40% ha utilizzato un asilo privato. In ogni caso al crescere del reddito disponibile aumenta il ricorso ai servizi di asilo nido privati. Il 58% degli intervistati, inoltre, dichiarano di affidarsi ai nonni per potere calibrare lavoro e figli.

Il parere del presidente dell’Inapp: “Serve un cambio di passo”

Circa un quarto degli intervistati che non vogliono lasciarsi intimorire dalle difficoltà evidenti del nostro paese e vogliono diventare genitori affermano che, per conciliare lavoro e cura dei figli sarebbe fondamentare un orario di lavoro più flessibile. Mentre per il 10% degli intervistati un’opzione potrebbe essere la possibilità di scegliere il telelavoro o lo smart working per poter seguire meglio i loro figli. Il part-time, infatti, è più frequentemente indicato dalle donne (12,4 % rispetto al 7,9% degli uomini). Se prendiamo questo dato e lo confrontiamo con quello relativo all’utilizzo dei congedi parentali (68,6% per le donne contro il 26,9% degli uomini) arriviamo al modello familiare più diffuso in Italia: quello in cui è la donna a dover rinunciare al lavoro per poter seguire meglio i propri figli. Dunque, la strada per raggiungere una vera e solida parità di genere sembra ancora lunga e faticosa.

“Il cambio di passo non può essere affidato a singoli interventi spot, ma richiede una organica convergenza di tutte le politiche (dalle politiche fiscali ai sistemi di welfare, dagli orari di lavoro alle politiche per la famiglia) per sostenere da un lato le scelte di procreare e allevare i figli e d’altro lato l’effettiva parità di genere in tutta la vita lavorativa e sociale, e vorrei aggiungere, anche pensionistica”, conclude il presidente dell’Inapp.

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