Il delitto di Serena Mollicone, la giovane di 18 anni ritrovata morta in provincia di Frosinone il primo giugno 2001, continua a non avere giustizia. I cinque imputati, coinvolti nell’omicidio secondo gli inquirenti, sono stati dichiarati innocenti in primo grado a causa di mancanza di prove, ma ora si trovano a dover rispondere dello stesso capo d’accusa davanti alla Corte D’Assise di Roma.
Questa volta, però, la situazione è leggermente diversa perché a testimoniare c’è anche Cristina Cattaneo, l’anamopatologa forense del Labanof di Milano, che ha portato in aula nuovi dettagli e verità scomode. Una testimonianza che apre nuovi interrogativi sul caso e che mette in luce uno scenario macabro finora non preso in considerazione.
Le parole del medico legale sulla morte di Serena Mollicone
“Serena poteva essere slavata. Non è morta sul colpo ma ha riportato un edema celebrale senza sanguinamento“, così ha spiegato Cristina Cattaneo ai giudici della Corte d’Assise di Roma, portando alla luce una novità inquietante sull’omicidio avvenuto ormai 22 anni fa. “Non era una tipica emorragia, quindi Serena potrebbe aver impiegato anche dieci per morire, la sua è stata una lenta agonia“.
Serena, come continuerà a spiegare il medico legale del Labanof, è morta per asfissia causata dal sacchetto che aveva in testa e del nastro adesivo che le è stato posto sulle labbra e sul naso. “La giovane non è morta sul colpo e su questo siamo tutti d’accordo. Probabilmente si giunge al decesso perché le vengono chiuse le vie aeree“. Una morte lenta, agonizzante e soprattutto solitaria, che ha spento la giovane Serena ora dopo ora.
L’anamopatologa ha tenuto, inoltre, a precisare che la ferita sulla testa di Serena è compatibile con il buco trovato su una delle porte dell’abitazione del Comandante Franco Mottola, nella caserma dei carabinieri di Arce, che invece ha sempre negato il suo coinvolgimento.
Cosa è successo il primo giugno 2001?
Il primo giugno 2001 Serena Mollicone scomparve da Arce in provincia di Frosinone, dopo aver finito di svolgere alcune commissioni nel suo paese. Sono inutili le ricerche, che portano al ritrovamento del suo cadavere due giorni dopo nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, ad otto chilometri da Arce.
Il corpo era adagiato in posizione supina in mezzo alcuni arbusti, coperti da rami e foglie e nascosto dietro un contenitore metallico abbandonato. La testa presentava una vistosa ferita ed era chiusa in un sacchetto di platica con del nastro adesivo su bocca e naso. Le mani e i piedi erano legati con il fil di ferro. Un ritrovamento raccapricciante in una zona boschiva che già il giorno prima era stata ispezionata da una squadra di carabinieri di Arce che non notarono il corpo.
Inizialmente le indagini non sembravano portare da nessuna parte, finché non venne arrestato Carmine Belli, un carrozziere di Arce, che poi si rivelerà estraneo agli eventi. Nel 2008 però il Brigadiere Santino Luzzi confessa di aver visto Serena entrare nella caserma di Arce e non uscire più. L’uomo dopo pochi giorni si suiciderà.
Grazie alla sua dichiarazione, però, gli inquirenti scopriranno un buco sulla porta della caserma che sembra coincidere con la ferita sul cranio di Serena. Vengono accusati Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, suo figlio Marco e sua moglie Anna Maria, accusati di aver partecipato all’omicidio. In aggiunta sono accusati di favoreggiamento i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, quest’ultimo anche accusato di aver istigato Santino Luzzi al suicidio.
Le accuse però non portano a nulla e i cinque accusati vengono dichiarati innocenti in primo e secondo grado. Rimane ora la speranza della Corte d’Appello, a cui spetta fare chiarezza.