Le coltellate al collo e alla nuca, quattro fendenti sferrati al collega del Berna Hotel, poco prima delle 6.20 di sabato. Poi la fuga. Era caccia all’uomo per la ricerca del responsabile del grave episodio di violenza avvenuto in via Napo Torriani, non lontano dalla Stazione Centrale di Milano.
L’aggredito, cittadino italiano nato in Egitto, è Hani Nars, 51 anni, dipendente della struttura alberghiera che, difendendosi, è riuscito a sopravvivere, dopo un delicato e lungo intervento chirurgico al Niguarda. Il ferito ha sostenuto di aver consigliato la barista 50enne di lasciar perdere De Maria, visti i suoi precedenti.
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Il bilancio delle vittime del caso, invece, sale a due: Emanuele De Maria, ovvero il detenuto evaso da Bollate che si è suicidato domenica mattina gettandosi dal Duomo, e Chamila Wijesuriyauna, 50enne dipendente dell’hotel Berna di cui si sono perse le tracce venerdì, il cui corpo è stato ritrovato solo domenica pomeriggio all’interno del Parco Nord di Milano.
Ministero Giustizia indaga su carcerazione De Maria
Il caso e il permesso del detenuto di lavorare all’esterno del carcere sono attualmente al vaglio del Ministero della Giustizia. Ad esprimersi nel merito, il legale difensore di De Maria che ha spiegato come “meritava il permesso di lavorare fuori visto l’ottimo percorso che aveva fatto all’interno del carcere“. L’avvocato Daniele Tropea, chiarisce all’Ansa, che la sua posizione era stata valutata dall’area educativa del carcere di Bollate oltre che dal magistrato di Sorveglianza di Milano, “non mi sarei mai aspettato – rivela il legale – nulla di quanto accaduto e nemmeno che De Maria potesse trasgredire le regole“.
Le prime ipotesi sugli intenti di De Maria
Nell’inchiesta sulla tragedia, il pm di Milano Francesco de Tommasi, è giunto all’ipotesi che De Maria avrebbe pianificato di uccidere prima Chamila e poi il collega Hani. Lo stesso pubblico ministero ha disposto le autopsie anche per accertare se l’uomo autore di un omicidio e di un tentato omicidio premeditati, avesse assunto sostanze stupefacenti.
Al momento, le indagini si stanno concentrando sui movimenti di De Maria nelle 48 ore precedenti al suo suicidio, in modo da poter ricostruire dove è stato durante le notti di venerdì e sabato e se qualcuno, ignaro del suo piano omicida, gli abbia dato ospitalità. Gli accertamenti, inoltre, stanno cercando di appurare cosa abbia fatto negli orari in cui è sparito dai monitor delle telecamere e dalle celle telefoniche.
Sembrerebbe che l’evaso avesse spento il telefono, e con il cellulare di Chamila, poi gettato in un cestino in via Bignami, avrebbe chiamato la madre e la cognata per chiedere “perdono” e spiegando loro di aver fatto una “cazzata“.
Dopo le 17 di venerdì, quando è stato ripreso sulle scale della metropolitana, di lui si sono perse le tracce fino alla mattina dopo, quando alle 6.17 è arrivato all’Hotel Berna e ha tentato di uccidere il collega per poi sparire nuovamente fino a quando ieri poco prima delle 14 si è gettato dalla terrazza del Duomo, dove era salito come un normale turista pagando il biglietto e senza essere riconosciuto in quanto i controlli riguardano armi, esplosivi e altro, e non l’identità delle persone.
Gli inquirenti e gli investigatori hanno già ascoltato il collega sopravvissuto, che ha spiegato di aver messo sull’avviso la 50enne, consigliandole di interrompere la relazione, visto e considerato che il 35enne aveva una condanna definitiva per aver accoltellato a morte, nel 2016, un’altra donna.
Il sindaco Sala: “Non saprei neanche che commento fare”
Nello sgomento generale e l’incredulità dei più per i gravi fatti accaduti, si è espresso a stretto giro anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che si è detto di comprendere la situazione “perché indubbiamente è una cosa che è difficile da spiegare ai cittadini di come, dopo un omicidio, la condanna sia di 14 anni e dopo non molti anni il condannato possa uscire“. Una considerazione che è effettivamente emersa nei commenti della vicenda. Ma, come spiegato da Sala, “sono le leggi per cui non saprei neanche che commento fare“.
Dalle indagini condotte dalla polizia, le piste si sono ricongiunte quando, dopo la scomparsa della donna dove i tre lavoravano, sono passate al vaglio degli inquirenti le immagini delle telecamere della stazione Bignami. Qui, la 50enne è stata ripresa insieme a De Maria, incontratisi nel parco Nord nel pomeriggio del 9 maggio.
Due ore dopo, le stesse telecamere avevano mostrato soltanto il sospetto. Il cellulare della donna è stato trovato da un addetto alle pulizie della metropolitana e riconsegnato al marito della 50enne, che ha immediatamente denunciato la scomparsa della donna ai carabinieri. Quando il corpo è stato poi ritrovato, si trovava a circa un chilometro dal luogo in cui la 50enne cingalese era stata vista camminare con Emanuele De Maria. motivo per cui, si era ipotizzato che il corpo potesse appartenere a lei.
Sul cadavere sono state rinvenute ferite riconducibili ad un’aggressione con un arma da taglio, almeno da una prima analisi esterna. Le ferite si troverebbero in corrispondenza della gola e delle braccia. Sul posto presenti i vigili del fuoco, il soccorritori 118, i carabinieri della compagnia di Sesto San Giovanni, gli agenti della polizia locale e il pubblico ministero.
Milano, De Maria si suicida gettandosi dal Duomo
La trama del caso iniziava ad infittirsi quando nel primo pomeriggio di domenica un uomo si è tolto la vita gettandosi dal Duomo di Milano. Sul posto sono intervenuti i soccorsi e le forze dell’ordine, ma per la vittima non vi era nulla da fare. L’uomo, secondo quanto dichiarato dai testimoni, si è gettato senza esitazione dal camminamento nord delle terrazze del Duomo, cadendo dopo un volo di circa 40 metri, in corso Vittorio Emanuele, non lontano dalla Rinascente.
L’ipotesi principale, poi confermata, è che potesse trattarsi proprio del sospetto, Emanuele De Maria, in particolare per i tatuaggi che ha sul braccio. Sulle polemiche riguardanti la modalità con cui De Maria sarebbe riuscito a raggiungere il Duomo ha risposto il segretario generale di ConFederSicurezza e Servizi, chiarendo l’uomo avrebbe acquistato il biglietto e superato i controlli in quanto non più in possesso del coltello che presumibilmente avrebbe utilizzato per compiere le due aggressioni.
L’uomo non aveva con sé né lo zaino nero con cui è stato immortalato dalle telecamere di sicurezza venerdì, né la borsa della vittima, quindi non si è dovuto fermare a mostrare il contenuto ai vigilantes, ha spiegato il responsabile, chiarendo poi che gli addetti alla sicurezza privati non possono avere le foto dei ricercati. Solo le forze dell’ordine hanno informazioni del genere, solo loro possono verificarle e solo loro possono fermare un sospetto”, sottolinea Uniti ad Adnkronos.
Milano, il ricercato è un detenuto con permesso al lavoro esterno
Secondo le prime informazioni diffuse, il ricercato è un 35enne originario di Napoli, pregiudicato per omicidio e detenuto a Bollate. Era riuscito ad ottenere un permesso per un lavoro esterno come receptionist ma ieri pomeriggio ha violato l’obbligo di rientro, non si sarebbe presentato sul posto di lavoro e non ha neanche fatto ritorno in carcere.
Stando a fonti vicine alle indagini, condotte dalla polizia, l’uomo lavorava nell’albergo dove si è verificata la lite con il 51enne vittima dell’accoltellamento, colpito al collo e al torace. Al momento, le forze dell’ordine solo a lavoro per cercare di comprendere la direzione presa dal fuggitivo, tracciandone anche l’ipotetico itinerario percorso tra metropolitane o treni data la vicinanza di entrambe al luogo del ferimento. Gli inquirenti stanno indagando anche per risalire a dove il detenuto abbia trascorso la notte, nonché alla cause che avrebbero fatto scoppiare la lite.
La donna scomparsa
Intanto, da ieri pomeriggio, risulta scomparsa una dipendente dell’hotel Berna. La donna, come confermato dalla Polizia, è una 50enne cingalese che lavora al bar proprio dove era addetto il fuggitivo. Non essendosi presentata a lavoro e ricevendone la denuncia dei parenti per la scomparsa a Cinisello Balsamo, Milano, dove vive, le forze dell’ordine hanno fatto scattare le indagini.
Secondo quanto emerso, l’accoltellatore doveva scontare una pena definitiva per un femminicidio avvenuto nel 2016 a Castel Volturno in provincia di Caserta. Il reato commesso riguarda una prostituta tunisina di 23 anni ritrovata sgozzata in un un hotel al centro di episodi di spaccio e prostituzione. Dopo un periodo di latitanza, era stato catturato in Germania nel 2018.
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