Erika Stefani, capogruppo della Lega in Commissione Giustizia al Senato, fa il punto sulla discussione in Parlamento sulla pubblicazione e l’efficacia dello strumento investigativo
Uso e abuso delle intercettazioni. Il confine tra utilizzo legislativo e utilizzo giornalistico è molto sottile, e in questi giorni è accesa la discussione politica sul lavoro che sta portando avanti il ministro della Giustizia Carlo Nordio. In ballo c’è la revisione delle norme che fissano i paletti della materia, anche alla luce degli aggiornamenti tecnologici introdotti per esempio dal software Trojan.
Erika Stefani, capogruppo della Lega in Commissione Giustizia al Senato, fa il punto sul percorso che il governo sta portando avanti. “Sarebbe semplicistico – spiega l’ex ministro – parlare di intercettazioni per reati più e meno gravi. La questione è una modalità di utilizzo delle medesime. Le audizioni fatte nella scorsa legislatura, anche in Commissione Giustizia, avevano evidenziato un certo tipo di problematiche tecniche, come le trascrizioni, i file o le traduzioni. È un meccanismo complesso, quindi non una questione da reato a reato. Attualmente tutto ciò che è comunicato all’indagato diventa pubblicabile. Invece dovrebbe esserci la distinzione tra notizia rilevante e quella irrilevante”.
Il rischio di un secondo processo
“Oggi la norma vuole che notizie irrilevanti vengano distrutte, invece accade che vengano rese pubbliche. Poi – questo lo dico io, non la norma – nel diventare pubblica è anche lesiva del diritto della difesa e dell’accusa, perché viene decontestualizzata, creando un processo fuori dal processo. Quindi il tema è come garantire la possibilità dell’imputato di difendersi e qual è la garanzia anche per fare il processo accusatorio”.