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Fine vita, la Consulta deciderà sul caso di una donna paralizzata

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E’ al momento “omicidio del consenziente“, il caso posto all’attenzione della Corte costituzionale riguardante una donna completamente paralizzata che ha avuto accesso al fine vita, il suicidio assistito, ma che non può autosomministrarsi il farmaco letale. Una paralisi da sclerosi multipla progressiva che l’ha costretta ad indicare un esecutore, ovvero il proprio medico curante come somministratore.

Al medico, però, se compisse l’iniezione gli sarebbe contestato, quindi, il reato di “omicidio del consenziente“, ora al vaglio della Consulta a seguito dell’ordinanza del tribunale di Firenze che ha sollevato il caso per la 55enne toscana. In base a quanto spiegato dall’Associazione Coscioni, Libera, nome di fantasia scelto dalla donna in questione, ha avuto quindi accesso al suicidio assistito ma le sue condizioni non le consentirebbero di autosomministrarsi il farmaco letale. Il tribunale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per l’articolo 579 del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente e l’8 luglio la Cosnulta sarà chiamata ad esprimersi in udienza.

Fine vita, la questione di legittimità

Il Tribunale ha sollevato la questione di legittimità lo scorso 30 aprile. E ai giudici, gli avvocati della 55enne avevano chiesto, come riferito da Filomena Gallo, coordinatore dei legali della donna, “di autorizzare il suo medico a procedere con la somministrazione del farmaco che l’Azienda sanitaria aveva ritenuto idoneo, e in subordine di sollevare l’incidente di costituzionalità sul reato di omicidio del consenziente previsto dal codice penale“.

Nell’ordinanza il tribunale, come riportato nel documento, ha ritenuto “rilevante e non manifestamente infondata la questione” relativa all’articolo 579 codice penale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione, “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge 219 del 2017“, sul consenso informato e Dat (Disposizioni Anticipate di Trattamento, ovvero sul cosiddetto Testamento Biologico), “attui materialmente la volontà suicidaria“.

Volontà che deve soddisfare condizioni prestabiliti, quali l’autonomia e la libertà con cui si è arrivati alla decisione della persona che necessita di essere “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale” e “affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili“.

Inoltre, è necessario che l’individuo sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale predisposta all’analisi di caso per caso, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Da qui, il caso, che riguarda la stessa persona che, per impossibilità fisica e per l’assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente procedere alla somministrazione in autonomia o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona, sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi irragionevole.

Libera ha, difatti, rifiutato la sedazione profonda, ovvero quella tecnica medica che induce uno stato di sonno profondo nel paziente, durante il quale non percepisce dolore, rumori o movimenti dell’ambiente circostante, perché come specificato da Gallo, “vuole essere lucida e cosciente fino alla fine“, nonostante stia “soffrendo a livelli insopportabili a causa della malattia e di ulteriori complicazioni“. Motivo per cui, “attende con urgenza l’intervento della Corte costituzionale per poter porre fine alle proprie sofferenze e chiede il rispetto della sua privacy e di quella della sua famiglia”.

L’ordinanza in questione, come puntualizzato da Marco Cappato, segretario dell’Associazione, porrebbe una questione decisiva per il rispetto del diritto all’autodeterminazione nel fine vita, dove la Corte costituzionale è da 8 anni che esorta il legislatore a intervenire nel rispetto della libertà di scelta della persona malata.

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