Un anno fa Giulia Cecchettin moriva, trafitta da 75 coltellate, per mano di un uomo che era convinto di avere dei diritti da esercitare sul suo corpo, sulla sua vita e anche sulla sua morte. Un anno fa una ragazzina di soli 21 anni, prossima alla laurea in ingegneria biomedica, moriva, nell’inconsapevolezza di tutti, in parte perché in Italia la violenza di genere, l’educazione affettiva e il rispetto per l’altro sono insegnati in maniera superficiale, quasi come uno scherzo, un gioco, perché “tanto a me non accadrà mai“.
La morte di Giulia Cecchettin un anno fa sembrava essere divenuta un sacrificio, l’ultimo femminicidio prima che nel Paese il meccanismo malato della violenza sulle donne potesse fermarsi, grazie alla forza del dolore, dell’amarezza e della rabbia di milioni di donne, stanche di vedersi strappare i propri diritti dalla forza e dall’insicurezza degli uomini. Un anno dopo, però, la speranza sembra svanita e resta lo sdegno legato agli 80 femminicidi che dalla morte di Giulia si sono verificati nel Paese. Il meccanismo non si è inceppato, la violenza degli uomini colpisce ancora e le donne continuano a morire mentre si ribellano e cercano la propria libertà.
Leggi Anche
Così, a portare un barlume di speranza in un mondo in cui centinaia di migliaia di bambine si apprestano a crescere, ci sono le iniziative portate avanti proprio in nome di quella 21enne che voleva solo essere felice, lontana da un ex fidanzato che era divenuto oppressivo. Oltre alle aule intitolate, ai concerti e alle iniziative private, il ricordo di Giulia resta vivo grazie alla fondazione in suo nome, che si pone l’obiettivo di sensibilizzare e soprattutto di educare i bambini nelle scuole, ad insegnare loro a gestire le proprie emozioni e soprattutto a rispettare chiunque si ha al proprio fianco, uomo o donna che sia.
Il nome di Giulia Cecchettin risuona in tutte quelle scuole dove giovani menti avranno la possibilità di imparare ad essere umani migliori, dove impareranno che chiedere aiuto non è un segno di debolezza e imporsi sull’altro non è un segno di potenza. Giulia Cecchettin è celebrata nelle oltre 3mila lettere che sono giunte a casa sua, a Vigonovo, in cui donne e uomini raccontano la loro storia o altri si stringono al dolore di Gino, Elena e Davide, il papà e i fratelli della 21enne, divenuti il volto del movimento in suo onore.
La memoria di Giulia, però, sarà veramente celebrata e rispettata solamente quando in Italia il numero delle donne uccise per mano di un uomo – padre, fidanzato, fratello o amico che sia – sarà pari allo zero. Il suo nome potrà essere pronunciato senza vergogna o rammarico solo quando una donna sarà libera di porre fine ad un relazione senza avere il timore di dover perdere la vita come conseguenze o di dover vivere nella paura della persecuzione.
La vita di Giulia Cecchettin non è stata interrotta per un sacrificio e il suo corpo non è ora un vessillo per le donne da portare in battaglia, ma è un dovere di tutti e di tutte oggi lottare affinché la sua morte, e quella delle centinaia di altre donne che ogni anno sono vittime di femminicidi, possa essere l’ultima e affinché le generazioni future possano vivere più libere, più rispettose e meno spaventate.
© Riproduzione riservata