Parlando di lavoro in Italia, oggi nel 2025, ci si chiede se si siano realizzati i propositi del primo comma dell’articolo 37 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. A volte nel nostro paese la situazione non è quella auspicata dal Costituente del 1948, e molte donne lamentano una situazione di disparità sul lavoro: salari più bassi, trattamenti diversi, difficoltà di opportunità e episodi di discriminazione.
Uno degli ambienti dove è riscontrata di più questa disparità e quello del calcio femminile, dove il professionismo delle atlete è molto penalizzato rispetto a quello maschile, rendendo ancora più lontana quella disposizione, e tutte le altre disposizioni costituzionali, che chiedono la parità di genere nel nostro paese.
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Calcio, la storia del professionismo femminile
Il calcio ha sempre avuto un posto d’onore nel mondo del lavoro; sin dal XIX secolo per gli atleti uomini ci sono contratti di lavoro, stipendi e un vero e proprio ambiente professionale. Storia diversa è quella del calcio femminile.
Le atlete fra il XIX e il XX non sono mai state considerate professioniste, né tantomeno calciatrici. Nel 1930 a Milano nasce il primo club di gioco calcistico femminile, ma non era ben visto dalla società del tempo. Andando avanti con gli anni sono nate sempre più calciatrici, ma per vedere un regolare contratto di lavoro le atlete donne italiane dovranno aspettare il 2022, quando nascerà la prima Serie A femminile.
La situazione dal 1930 è cambiata radicalmente ma la strada per un’effettiva parità in questo ambiente è ancora lunga.
Calcio femminile, le problematiche di disparità
In Italia la differenza fra calciatori e calciatrici è visibile su vari livelli. In primis vi è la disparità di stipendi. I dati raccolti in questi anni hanno dimostrato che lo stipendio delle atlete di serie A è pari a quello degli atleti di serie C: vi è quindi una differenza di decine, a volte anche centinaia di volte.
Il business che ruota attorno al calcio femminile ,poi, è basso perché si trova in netto svantaggio rispetto a quello degli atleti uomini. Il calcio maschile infatti è molto più seguito di quello femminile, un po’ per l’abitudine e un po’ per uno stereotipo mentale che si è insinuato nelle menti di moltissimi italiani cioè che le donne non possano giocare a calcio. Sono note in questi ambienti delle critiche che hanno penalizzato molto il calcio femminile: c’è chi diceva che andava ridotto il campo perché le donne sono “più lente” degli uomini, chi sosteneva che bisognasse rimpicciolire le porte.
Molte atlete poi sono condizionate da queste prospettive non proprio rosee, per cui le loro scelte professionali sono indirizzate più verso altri ambienti, come quello del calcio non giocato (allenatrici, dirigenti etc.) o altrove. Ciò fa diminuire esponenzialmente il numero delle calciatrici, anche se ultimamente si è registrata una lieve crescita, poiché sempre più club stanno cercando di valorizzare anche il settore femminile.
Calcio femminile, l’Italia è un paese ancora troppo legato ai pregiudizi
Il problema dell’Italia deriva in parte anche da dei paradigmi mentali che sono ormai molto radicati, che possono portare anche ad episodi di discriminazione. Questa è una realtà che è stata riscontrata principalmente nel settore giovanile, alle soglie del professionismo, ma che comunque spiega perché in Italia il calcio femminile sia così penalizzato.
Spesso le giovani atlete si trovano a doversi confrontare con dei coetanei maschi, poiché non esistono ancora molte squadre femminili. Il dato interessante è che negli episodi discriminazione non sono protagonisti i ragazzi ma molto spesso i genitori. Proprio questi ultimi spesso gridano in campo, incitando gli atleti a “rimettere le cose a posto” facendosi valere di fronte alle ragazze. Ed è per questo che molti ragazzi poi vengono educati con questi principi che non fanno altre che alimentare questa insanabile distanza fra il settore maschile e quello femminile.
Calcio femminile, una possibile soluzione al gap? Uno sguardo agli altri paesi
In questa ottica sembra che il problema non possa essere mai risolto. In realtà in altri paesi la situazione è differente, per cui un altra realtà è possibile. Negli U.S.A, ad esempio le giocatrici di calcio sono pagate allo stesso modo dei giocatori maschi. Stessa cosa per Spagna e Francia, dove il calcio femminile è molto valorizzato e molte squadre di calcio hanno settori per entrambi i sessi da moltissimo tempo. In Norvegia il calcio femminile è una realtà ben consolidata, non esiste alcun “gap”, ci sono sussidi e congedi per maternità e lo stesso stato promuove e finanzia ogni tipo di iniziativa che possa incentivare la parità.
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