La Corte d’Assise d’appello di Milano ha condannato Alessia Pifferi in secondo grado a 24 anni per l’omicidio della figlia Diana, lasciata morire di stenti nel luglio del 2022. La donna in primo grado era stata condannata all’ergastolo, sentenza che l’avvocata generale di Milano, Lucilla Tontodonati, chiedeva invece di confermare, al termine di circa due ore e mezza di requisitoria nel processo d’appello a carico della quarantenne per l’omicidio della piccola Diana.
Nella discussione finale, l’accusa si è concentrata sulla piena capacità di intendere e volere di Pifferi, riscontrata dai periti in entrambi i gradi di giudizio. Una “accertata imputabilità” che per l’accusa “non può che coincidere con la colpevolezza”. Una vicenda “dolorosissima“, come l’ha definita la procuratrice generale, “con immagini che ci possiamo raffigurare pur non essendosi stati nell’immediatezza del fatto. Immagini atroci e sconvolgenti“.
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E’ luglio del 2022 quando Alessia Pifferi ha lasciato a casa da sola la figlia di 18 mesi per quasi sei giorni. Per l’accusa, la donna ha avuto “una condotta particolarmente raccapricciante, ma anche particolarmente difficile da accettare, perché è una condotta omissiva“. Condotta che sarebbe stata quella di “una mamma che lascia una bambina a soffrire per cinque giorni e mezzo nel caldo di luglio a Milano, senza aria condizionata e con le finestre chiuse“, in quelle che sono state definite “condizioni disumane“.
La difesa: “Pifferi, una donna sola, abbandonata”
Il legale difensore di Pifferi, Alessia Pontenani, ha piuttosto incentrato gran parte della sua discussione sul fatto che la donna “è un vaso vuoto” e che “non riesce a ragionare” e ha definito Pifferi “era una donna sola, abbandonata” come ha sottolineato l’avvocato ribadendo che “nessuno si è mai preoccupato né di lei né di Diana, nessuno ha fatto nulla”.
Secondo quanto sostenuto da Pontenani, l’imputata “le voleva bene e le vuole bene tutt’ora. Magari non è stata la madre più amorevole del mondo, ma lo ha fatto a modo suo, secondo quelle che erano le sue capacità. Se fosse stata aiutata da più persone o se fosse stata seguita dai servizi sociali…“.
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